Pieter Paul Rubens (1577–1640), "Il tributo della moneta", Fine Arts Museo di San Francisco
22 ottobre 2023 XXIX - Tempo ordinario (Anno A) - Commento al Vangelo domenicale a cura di Don Stefano Ecobi
Cosa avrebbe risposto Gesù se la domanda sul tributo a Cesare fosse arrivata da un cuore con limpide intenzioni? Probabilmente avrebbe speso qualche parola in più, come quando, dopo alcune parabole, ne spiegava il significato ai soli discepoli, sapendo che in loro avrebbe trovato disponibilità all’ascolto. Invece la questione è sollevata da gente che tramava per «cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi», e che, in un’evidente ipocrisia, ha pure la faccia tosta di esordire con le lusinghe.
Allora, sicuramente interessante è la risposta lapidaria del Signore: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Se sulla moneta è impressa l’effigie dell’imperatore, pagate il tributo “restituendo” a Cesare ciò che porta la sua immagine. Ma ricordando che ogni creatura reca nella sua trama più intima il richiamo al Creatore, e soprattutto quelle creature create «a immagine di Dio» (Gen 1,27), Cesare compreso. Pertanto, attualizzando (e semplificando), le strutture di governo sono necessarie e meritano la nostra partecipazione e il nostro impegno (e se vissute in autentico spirito di servizio possono addirittura essere luogo di crescita nella santità), ma non dimentichiamo che radice e origine di ogni essere rimane il Creatore. Perciò nessun “Cesare” di turno (non me ne voglia chi porta questo nome…) può pretendere di sostituirsi a Dio, e nessuna realtà umana deve essere assolutizzata fino all’idolatria.
Ma, forse, ancor più interessante è ciò che Cristo non dice. Meglio, il modo in cui taglia corto, sapendo bene che, a spendere troppe parole con persone che hanno malevole intenzioni, si finisce soltanto per fornire loro ulteriori appigli per deliberati fraintendimenti. Anche in altre occasioni Gesù è stato molto stringato nel rispondere a quanti cercavano a tutti i costi una scusa per accusarlo (vedi ad esempio Mt 21,23-27, in cui addirittura il Maestro non risponde, a motivo della chiusura del cuore dei suoi interlocutori). Invece in altre situazioni troviamo un Gesù decisamente più eloquente, disponibile non solo a lasciarsi interpellare dalle questioni sollevate ma anche a spendere molte più parole. È proprio vero (sebbene l’abbiano detto dei malintenzionati) che Gesù non ha «soggezione di alcuno» e non guarda «in faccia a nessuno».
Il Signore vede il cuore (cf. 1Sam 16,7). Cristo, come il Dio dell’Antico Testamento, quando guarda in volto le persone, vede e conosce il loro cuore, le loro intenzioni e motivazioni, i desideri più intimi e le mire nascoste. Se scorge soltanto la malizia del mettere in discussione gli altri per non mettere in discussione se stessi, allora non sta al gioco e taglia corto. Quando invece si imbatte in un cuore aperto all’ascolto autentico, e dunque alla possibilità di conversione, ecco che innanzitutto gioisce, e poi non si tira indietro. D’altronde, è venuto proprio perché, in lui, “tutto di Dio” potesse raggiungere il cuore dell’uomo e cambiargli la vita, salvandolo.