2 giugno 2024 – CORPUS DOMINI (ANNO B) -Commento al Vangelo domenicale a cura di Don Stefano Ecobi
Gesù mostra di avere completa padronanza della situazione: alla domanda dei discepoli sul luogo in cui preparare per la cena della Pasqua egli risponde indicando con precisione dove andare, chi incontreranno e quale spazio verrà loro offerto. Sa già tutto, Gesù. E nell’inviare i suoi, affida loro una domanda da rivolgere a chi dovrà ospitarli: «Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?».
Una «stanza» che, prima ancora di occuparla o affittarla, Gesù chiama già «mia». Un ambiente che egli cerca per «mangiare la Pasqua» insieme ai suoi. Una «grande sala», «arredata e già pronta», in cui i discepoli aggiungeranno del loro, preparando per la cena. Ma poi, cosa succede in questa sala? Si svolge sì una cena, durante la quale Gesù mangia insieme ai suoi discepoli. Tuttavia, ad un certo punto egli interrompe il normale corso del pasto per inserire qualcosa di più di un gesto o di un rito nuovo: Cristo inserisce la consegna di sé stesso. «Prendete», dice mentre dà loro il pane, e poi fa passare anche il calice del vino. E di entrambi afferma che sono suoi («il mio») e che sono qualcosa di diverso, qualcosa di più rispetto a ciò che i loro occhi vedono e le loro mani toccano: sono «il mio corpo» e «il mio sangue». In quella stanza, in cui la Pasqua sembrava dovesse essere soltanto un consumare qualcosa di già offerto e immolato, Gesù compie un’immensa novità, consegna tutto sé stesso, anticipando l’offerta sulla croce a cui i discepoli, fuggiti, non assisteranno.
«Dov’è la mia stanza?». Così il Signore chiede anche a noi oggi. Nella nostra vita, dov’è quella stanza che già appartiene a Gesù, ma le cui porte devono ancora essergli spalancate? Dov’è quella stanza — che sia uno spazio fisico, un angolo del cuore, un tempo della giornata, una relazione con qualcuno, un ambito del vivere quotidiano — che è già del Signore, perché ogni cosa è sua, «egli ci ha fatti e noi siamo suoi» (Salmo 100[99],3), ma che stiamo trattenendo per noi ed escludendo dalla sua area di competenza, o magari pensiamo che lui non voglia o non possa entrarci? Celebrare l’Eucaristia, fare la Comunione, nutrirsi del «pane vivo disceso dal cielo» (Giovanni 6,51) significa anche dare corpo alla sua presenza, spalancare tutto noi stessi affinché il Figlio di Dio che è Signore della vita abbia voce in capitolo anche sulla nostra vita personale. Solo così la presenza di Colui che si è consegnato a noi e per noi, illuminerà e trasformerà ogni anfratto della nostra esistenza. Solo così anche noi diventeremo davvero «suo corpo» e «suo sangue». Solo così saremo quella «stanza», sempre più sua, affinché ogni giorno la Pasqua abiti realmente anche dentro di noi.