14 luglio – XV Tempo ordinario (Anno B) - Commento al Vangelo domenicale a cura di Don Stefano Ecobi
Saroo ha cinque anni e si ritrova catapultato nella confusione della stazione dei treni di Calcutta. È piccolo e solo, seppure in mezzo a una marea di gente. Chiede aiuto, ma i passanti tirano dritto. Scrive lo stesso Saroo, una volta cresciuto: «Io ero solo l’ennesimo bambino povero che urlava qualcosa, troppo piccolo perché qualcuno si fermasse ad ascoltarlo» (S. Brierley, Lion, Milano 2019, p. 37). Una piccolezza scomoda che grida la sua presenza, senza che i grandi accettino di prestarle ascolto.
Il Vangelo ci racconta uno stile diverso. Ci racconta che Gesù, nell’inviare i suoi dodici discepoli in una prima missione di annuncio, ordina loro di prendere ben poco con sé: un bastone in mano, i sandali ai piedi e la tunica indosso. Niente abiti di cambio, niente borsa né denaro, e nemmeno il pane. Partire leggeri, certo, ma anche un po’ precari. Esperti di piccolezza, per la quale avere occhi e fiuto, e dalla quale imparare. Poveri di sicurezze, ricchi solamente della buona notizia che devono annunciare e della fiducia in colui che li ha inviati.
C’è una fragilità necessaria alla missione. O forse, quel che noi discepoli dobbiamo fare è riconoscere che tutti siamo piccoli e fragili, e una certa povertà ce lo ricorda. Se ce ne accorgiamo, possiamo imparare a rivolgerci al Salvatore, come i malati del Vangelo di domenica scorsa, gli unici che, alla fine, hanno raccolto miracoli da un Gesù in cui gli altri, ricchi di certezze, non volevano vedere niente più che il falegname (cf. Marco 6,1-6). E solo se consapevoli della nostra fragilità e affidati totalmente al Salvatore, possiamo diventare anche suoi testimoni, come i Dodici di questa domenica, facendoci portatori della sua novità che libera e guarisce (cf. Marco 6,12-13).
San Paolo, pur con un carattere forte, ha raggiunto l’apice della sua vita spirituale e apostolica nel momento in cui ha compreso che non sono le mille capacità a rendere efficace un testimone, ma solo ed esclusivamente la potenza di Cristo e la carità che il suo Spirito accende nel cuore. E arriva a vantarsi addirittura delle sue debolezze e fragilità, perché «quando sono debole, è allora che sono forte» (2Corinzi 12,10). Paradossale? Solo se non capisci che quella di cui parla non è la sua forza, ma la potenza di Gesù, che trova spazio in noi soltanto se sappiamo mettere da parte le sicurezze del mondo. Anche a noi, come a Paolo, il Signore dice: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Corinzi 12,9). La mancanza di sicurezze surrogate impone ai discepoli-apostoli di mantenersi nell’autenticità e di non mascherare il proprio essere peccatori perdonati, malati guariti, piccoli salvati.