25 febbraio 2024 – II Quaresima (Anno B) - Commento al Vangelo domenicale a cura di Don Stefano Ecobi
La montagna ha sempre un significato negli episodi biblici: vi hanno luogo scene importanti, spesso decisive e in compagnia di Dio. L’angelo che ferma Abramo prima che sacrifichi il figlio, Mosè che riceve la Legge per trasformare la folla di fuggitivi nel popolo dell’alleanza, Elia che riconosce la presenza del Signore nella voce di un tenue silenzio: tutte scene che si svolgono su di un monte. Ma ci sono anche momenti di prova, come la faticosa preghiera di Mosè mentre il popolo è in guerra o la contesa tra Elia e i 450 profeti di Baal. Senza dimenticare che anche una delle tentazioni di Gesù è ambientata su un monte altissimo. In ogni caso, poi, dalla montagna bisogna scendere: nella Bibbia generalmente non si sale sul monte per rimanerci, nemmeno quando lì si incontra Dio, ma per fare esperienze necessarie a riprendere il cammino giù, nel mondo.
I tre discepoli testimoni della Trasfigurazione assistono, senza comprendere, alla manifestazione di Gesù come già risorto, in compagnia delle figure simboliche di Mosè ed Elia, con tanto di nube divina e voce del Padre. Ma poi, quando gli effetti speciali si spengono, sul monte non si può restare, nonostante la goffa proposta di Pietro di fare «tre capanne»: bisogna tornare giù, uscire da quella condizione «in disparte», senza tuttavia dimenticarla, ma facendone tesoro. Quel monte bisogna continuare a portarselo nel cuore per proseguire il cammino. E di strada da fare ce n’era ancora molta: soprattutto, rimaneva da affrontare il sentiero impervio della Via Crucis. I discepoli scendono dal monte con più domande, ma è certo che non dimenticheranno quell’esperienza: li accompagnerà nell’affrontare lo scandalo della Croce, e quando Gesù risorgerà dai morti comprenderanno di aver avuto il privilegio di gustare in anteprima un assaggio della gloria del “dopo”.
Sul monte, nel luogo in cui si è più vicini a Dio, ci troviamo a sperimentare la sua pace, ma anche a dover decidere se è con lui che vogliamo continuare a camminare. Torna alla mente la fatica di credere, di rinnovare il nostro “sì” a quel Gesù che non rifiuta ma abbraccia la Croce, mentre altre voci sembrerebbero più allettanti. Ma anche quei momenti in cui la vicinanza di Dio, magari sotto mentite spoglie, ci ha condotti in alto, quasi a toccare il cielo con un dito, ad esempio attraverso la genuinità di una parola amica, il ristoro di una preghiera silenziosa, una carezza arrivata dritta al cuore, un gesto di vera carità. La geografia della Quaresima, conducendoci sul monte della Trasfigurazione, ci invita a non dimenticare le piccole o grandi tracce lasciate dal Signore nella nostra vita, affinché la speranza rimanga accesa e il cammino (fosse anche una Via Crucis) sia sempre in compagnia del Figlio suo, «l’amato».