di Gianfranco Ravasi - Cardinale arcivescovo e biblista
"Essi narrarono ciò che era accaduto lunga la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane."
(Luca 24,35)
Caravaggio, Cena in Emmaus, olio su tela, Pinacoteca di Brera - Milano
Caravaggio ripropone questa scena in modo emozionante ben due volte, in tele che sono custodite rispettivamente alla National Gallery di Londra e alla Pinacoteca milanese di Brera. Certo è che la cosiddetta “Cena di Emmaus” narrata dall’evangelista Luca (24,13-35) è rimasta non solo nella fede dei credenti, ma anche nell’immaginario di tutti, specialmente attraverso quell’invocazione finale dei due discepoli: «Rimani con noi perché si fa sera e il giorno sta ormai declinando!». Come è noto, questo incontro del Cristo risorto con Cleopa (diminutivo di Cleopatro) e con un altro seguace anonimo di Gesù è “dipinto” narrativamente dall’evangelista in due quadri consequenziali.
Caravaggio, Cena in Emmaus, olio su tela, National Gallery - Londra
All’inizio c’è la strada e il cammino di sessanta stadi (all’incirca undici chilometri) per raggiungere Emmaus, un villaggio la cui identificazione non è certa. È, questo, il momento della parola: considerazioni sconsolate dei due, spiegazioni intense e appassionate dell’ignoto viandante.
Ecco, poi, la seconda scena, in un interno, attorno a una mensa ove basta solo un gesto per far riconoscere in quel compagno di viaggio il Cristo: «Prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Perché lo “spezzare il pane” fa aprire gli occhi a quei due? La risposta è di indole teologica e liturgica. La frase appena citata echeggia, in- fatti, i gesti compiuti da Gesù nella sua ultima cena, quando appunto egli «prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro» ( Luca 22,19). È, quindi, l’eucaristia l’atto dello svelamento del Cristo risorto agli occhi del credente. Non basta, per poterlo riconoscere nella sua realtà più intima, l’esperienza fisica dell’ascolto. Quest’ultima è importante perché – come i due discepoli confesseranno – fa “ardere il cuore nel petto”; ma è necessaria una via superiore di conoscenza, quella della fede, che permette l’incontro pieno sotto il segno del pane spezzato.
È per questo che la formula “spezzare il pane” (in greco klásis tou ártou) diverrà quasi “tecnica” per indicare l’eucaristia. Lo stesso evangelista Luca, quando delinea negli Atti degli apostoli le quattro colonne ideali che reggono la comunità cristiana di Gerusalemme, non esita a collocarvi anche questo rito fondamentale della Chiesa: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane (klásis tou ártou) e nelle preghiere» (2,42).
Poche righe dopo (2,46), si ricorda che questa celebrazione avveniva all’interno delle abitazioni ove si radunavano i primi cristiani: «Erano perseveranti insieme nel tempio e spezzavano il pane nelle case», e ciò aveva luogo all’interno di un banchetto comunitario («prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore»). Questo atto è rievocato altrove nel secondo scritto di Luca. Ad esempio, a Troade, alla presenza di san Paolo e dello stesso Luca, si nota: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane» (20,7). Similmente, dopo una terribile tempesta nel Mediterraneo e prima di approdare a Malta, Paolo sulla nave «prese un pane, rese grazie a Dio davanti a tutti e lo spezzò cominciando a mangiarlo» (27,35). Era stato lo stesso Apostolo, scrivendo ai fedeli di Corinto, a dare indicazioni severe per una retta celebrazione della cena del Signore nel contesto del banchetto comunitario (1 Corinzi 11,17-34).
© da Famiglia Cristiana 17/5/2013