4 dicembre 2022 - II Domenica di Avvento (Anno A)- Commento al Vangelo domenicale a cura di Don Stefano Ecobi
El Greco, Giovanni Battista, Museo di Belle Arti di Valencia
Toni di genere apocalittico e stile profetico, con quell’abbigliamento sui generis — i peli di cammello — che richiama quello del profeta Elia (cf. 2Re 1,8; Zc 13,4), hanno di certo lo scopo di scuotere gli ascoltatori e comunicare l’urgenza della conversione. D’altronde, il nostro Giovanni Battista svolge la funzione di “sveglia”: c’è una novità da non lasciarsi sfuggire! Ascoltiamo anche noi i suoi richiami, per non restare indifferenti al bussare di Dio alla nostra vita.
La venuta di Gesù, per cui l’Avvento (con il Battista) ci dà la sveglia, non è infatti l’ingresso di una presenza indifferente o innocua, di quelle che possono anche essere ignorate. È una novità che ha la forza e l’energia del fuoco dello Spirito, che accende e mette in moto. È «il regno dei cieli», il regnare di Dio che guadagna terreno, un trasformare la terra in specchio che riflette il cielo. Energia di ignizione e trasformante, che chiede accoglienza, pena l’incompatibilità con la vicinanza di Dio. Non è una minaccia, ma un dato di fatto. In effetti, se avesse voluto, Gesù avrebbe potuto cestinare direttamente tutti i peccatori… Ma — come si dice — non butta il bambino con l’acqua sporca: è per salvarci che è venuto, fermamente convinto che ne valga la pena. La buona trasformazione portata da Gesù non è contro di noi, ma in nostro favore, e non vuole essere senza di noi: chiede il permesso di coinvolgerci, e dunque di salvarci.
Con Cristo si è aperto il tempo della vicinanza di Dio, che con il suo amore suscita in noi fiducia, coraggio e umiltà nel vagliare alla Sua luce il bene da far crescere e il male da frenare. È quanto suggerito dal Battista con l’immagine del ventilabro, strumento contadino per soffiare via le scorie senza perdere il seme prezioso. Questo fa la vicinanza del Signore, se glielo permettiamo. Ma permetterglielo significa non accontentarsi di un’appartenenza generica al popolo di Dio, come il Battista rimprovera, e che noi potremmo tradurre così: non basta la “divisa” del cristiano, occorre giocarsi ed essere cristiani per davvero. Se la conversione che ci viene chiesta è un atteggiamento costante, cominciamo con l’accorgerci che quel Dio, di cui l’annuncio cristiano ci parla, si sta rivolgendo proprio a me, si fa vicino a me, mi ama personalmente (proprio me!). Questa è la prima novità che Gesù, in quanto Dio vicino, discreto ma deciso, è venuto a sussurrare al nostro cuore. A partire da questa gioiosa scoperta potrà prendere corpo in noi, tutta intera, la novità del Vangelo.