21 Marzo 2021 – V Domenica di Quaresima (Anno B): - Commento al Vangelo domenicale a cura di Don Flaminio Fonte.
Orazione nell'orto, tempera su tavola (63x80 cm), di Andrea Mantegna, 1455 c.ca, National Gallery di Londra
«Padre, glorifica il tuo nome» è la preghiera di Gesù all’alba della sua passione e morte di croce. La stessa invocazione, in fondo, ritorna nel Padre nostro, la preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli: «sia santificato il tuo nome». Il nome nella cultura biblica è la soggettività stessa di chi lo porta, tanto che chi è senza nome è come se non esistesse. Dio santifica e glorifica il suo nome quando si rivela, si manifesta per quello che è, cioè il Santo, ed opera nella storia degli uomini.
La gloria, in ebraico kabod, è il peso specifico, la dimensione materiale e quantificabile di un’entità. Essendo la mentalità ebraica pragmatica, la gloria è il peso reale dei prodotti della terra che determina il prezzo per il mercato. La gloria in ultima analisi è il valore reale stimato dal peso. Abramo, ad esempio, è detto «molto glorioso», perché possiede «bestiame, argento ed oro» (Gen 13, 2). La gloria di Dio è la sua presenza concreta, il suo aiuto fattivo nel cammino della vita, il suo agire prodigioso nelle vicende del mondo. Gesù nell’«ora» estrema della morte, è nell’angoscia «l’anima mia è turbata», tuttavia si fida del Padre. In realtà la stessa glorificazione del nome del Padre passa proprio attraverso il sacrificio cruento del Figlio suo. La Lettera agli ebrei illumina ulteriormente questo passaggio. Gesù «offrì preghiere e suppliche, con forti lacrime e grida» al Padre e proprio per «il suo pieno abbandono […] venne esaudito» (Ebr 5, 7-8). Non è dispensato da quell’ora tremenda, piuttosto è salvato dalla morte passando attraverso la morte e risorgendo al terzo giorno. In questo modo, continua la Lettera agli ebrei «imparò l’obbedienza da ciò che patì e reso perfetto è causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Ebr 5, 8-9). L’obbedienza alla volontà del Padre fino alla morte di croce lo rende perfetto, in greco teleiotheis, non nel senso etico del termine, bensì lo consacra sommo sacerdote ossia mediatore perfetto tra Dio e l’uomo. La sua consacrazione sacerdotale, pertanto, non è l’esito di un rito liturgico, bensì dell’esperienza della morte vissuta con abbandono alla volontà paterna. In questo modo Gesù glorifica il nome del Padre, e consente anche a noi, suoi discepoli, se obbediamo alla sua Parola, di glorificarlo con la nostra vita.
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